“Non so cosa mi sia preso, so soltanto che non me lo perdonerò mai”, è un uomo ormai distrutto dalla vergogna, Alessio P., non cerca alibi o giustificazioni.
Il suo è un nome di fantasia: mantenere l’anonimato gli servirà, forse, a rifarsi un’identità e una vita.
“Gli altri colleghi erano tutti in sede, mi stavano aspettando per finire il torneo di briscola. Io ero andato al bar a prendere i caffè, era una giornata come tante, un giorno di lavoro come gli altri”.
Prova a ricostruire le tappe della spinosa vicenda, Alessio. Mettersi a lavorare è stata una debolezza, ma il vero scherzo del destino è stato essere scoperto.
“Sei caffè di cui due macchiati e tre cappuccini, quattro succhi di frutta e quindici cornetti, il solito ordine che uno di noi a turno va a ritirare al bar tutte le mattine. Conto Regione Calabria, poi passa il segretario a fine mese a saldare. Insomma ero a metà strada, quando ho visto un albero pericolante. Sarà stato il vento o le piogge di questi giorni, ma quest’oleandro stava finendo il mezzo alla carreggiata. Avevo con me gli attrezzi, quelli li porto sempre anche perché se trovo dei funghi o delle castagne per strada mi fermo sempre a raccoglierli. Volevo semplicemente legato il tronco dell’albero pericolante al fusto di un altro albero sano, è stato un gesto automatico, istintivo. Pensavo di risolvere la cosa in due minuti…”
Invece qualcosa è andato storto nei piani del cinquantenne originario di Canolo.
‘E tu chi minchia fai ‘cca? Avi reci minuti chi ti ‘spittamu! Aundi su i cafè e i cornetti?’
A parlare non era un passante o un semplice collega, bensì il caposquadra che, preso dai morsi della fame, era andato a cercare Alessio.
“L’intervento è stato più lungo e complicato del previsto, l’oleandro ha rischiato più volte di spezzarsi e poi i rami bassi non mi facevano lavorare con facilità. Ma l’ho detto e lo ripeto, non cerco scuse. Non ci sono ragioni che tengano, la vita è una questione di priorità e coerenza. Dovevo pensare alle colazioni e al torneo di briscola, tutto il resto veniva dopo”.
Un j’accuse a sé stesso molto lucido, quello del forestale. Una reazione con la quale ha provato quantomeno a salvare l’onore.
“Ho mollato tutto e sono corso al bar, l’albero è caduto sulla strada, ma poco importa. Ho portato a termine la mia missione mattutina, ho consegnato la roba da mangiare ai colleghi scusandomi per il ritardo e ho liberato la mia scrivania e il mio posto al tavolo da gioco”, chiude il forestale.
Che sul futuro ha le idee molto chiare: “Non mi aspetto il reintegro. Quello che chiedo è essere dimenticato“.