“Un quadro agghiacciante, in sessant’anni di attività sul territorio calabrese non avevo mai vista nulla di simile”, esordisce così il capo-bastone Giuseppe P., commissario della locale di ‘ndrangheta del centro Calabria.
All’indomani dello scioglimento dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro per infiltrazioni statali, emergono nuovi inquietanti dettagli sull’intera operazione.
Un’Asp, quella del capoluogo calabrese, che gestisce un bacino di oltre 80 Comuni che si estendono dal Mar Ionio al Mar Tirrreno. Nosocomi importanti come quelli di Soverato e di Lamezia, finiti oggi sotto la lente degli investigatori ‘ndranghetisti.
“Diverse stanze, alcune apparecchiature e addirittura interi reparti nelle mani dell’amministrazione pubblica. Un paio di concorsi trasparenti, quattro o cinque assegnazioni di lavori senza turbative d’asta, e chissà quante altre magagne che ci sono state tenute nascoste…”
È furioso il commissario straordinario, racconta di un’Azienda sanitaria in cui debole, ma presente era l’infiltrazione da parte dello Stato.
“È inammissibile accettare oggi un certo modo di operare. Tutto deve essere sotto il nostro controllo. La Sanità è una minna, una mangiatoia, e tutti ne dobbiamo giovare. Dai cantieri, alle forniture, allo spostamento di pacchetti di voti grazie alle clientele. È una delle più grandi aziende calabresi, la Sanità, forse la più grande in assoluto e deve essere tutelata”.
Calano dunque i sigilli e cala il sipario, ancora una volta, in Calabria su delle strutture ospedaliere.
Nosocomi che si rivelano permeabili a pressioni pubbliche e interessi della collettività.
“Vogliamo dare un messaggio a tutti”, conclude il capo-bastone, “sono in gioco gli equilibri economici e sociali di una regione. La Sanità è cosa nostra e non ammetteremo ingerenze da parte della legge e dello Stato”.
E chi vorrà vedere garantito il proprio diritto alla Salute, ovvero vedersi assistito secondo gli standard sanitari italiani, con le migliori tecniche oggi disponibili?
“Si prendano un treno e vadano a Milano o a Bologna, come fanno tutti. Che qua o campiamo noi o campano loro. Posti per tutti non ce n’è”.