È un Presidente del Consiglio visibilmente provato quello che si presenta davanti al folto stuolo di giornalisti accorsi alla sala stampa di Palazzo Chigi.
Un’immagine stravolta che lasciava presagire un messaggio fuori dall’ordinario. Un Giuseppe Conte come non lo avevamo mai visto: loquace, carismatico, indipendente, volitivo…quasi vivo.
Una figura sulla quale, fin dall’inizio del mandato, sono piovute le ironie di avversari politici e non.
“Una marionetta” lo ha definito qualcuno. “Un replicante con due padroni”, “Il vicepremier di due vice premier”, aveva infine sentenziato lo Sgarbi nazionale.
Un Primo Ministro, insomma, stretto tra due figure ingombranti.
Un uomo costretto continuamente a mediare, a non poter mai dire completamente la propria, teleguidato ora dall’uno ora dall’altro vice.
“Posso dire una cosa” “No?” D’altra parte è ancora davanti ai nostri occhi la scenetta del discorso di insediamento tra lui e Di Maio, un Presidente del Consiglio che chiede il permesso di parlare e neppure lo ottiene!
Niente di tutto questo ieri in sala stampa!
Sarà stato l’anno di abbozzamenti, il continuo reprimersi, sarà stato che anche Giuseppe Conte ha un cuore e…una pazienza. Fatto sta che, messo in mezzo dall’ennesima crisi di governo, il Capo del Governo italiano ha sbottato in calabrese stretto:”Vu ricu ‘cca ravanti a tutti: Si na finiti mi faciti burdellu vi scapulu na tappina!”
Nessun giro di parole, nessuno stile istituzionale, nessun gesto diplomatico.
Bensì la promessa, rivolta a Luigi Di Maio e Matteo Salvini, di lanciare solo una ciabatta se non la smetteranno con questo clima avvelenato da campagna elettorale perenne.
‘Ve lo dico davanti a tutti’, premette e promette Conte. Ed è una frase dall’alto contenuto simbolico, un messaggio davanti alla nazione. Proprio come le mamme calabresi che, esasperate dal comportamento dei loro figli, perdono la pazienza e – a rischio di perdere la faccia davanti a parenti e vicini – promettono l’impromettibile davanti a tutti.
‘Vi iasu mani!’
Un ultimatum a tutti gli effetti, quello di Conte, dunque.
Un atteggiamento sintomatico di una misura oltremodo colma.
La minaccia finale, la violenza fisica, il deterrente per eccellenza.
Perpetrato per giunta con un’arma praticamente letale: la tappina calabrese.
Si renderanno conto Di Maio e Salvini, come i pargoletti calabresi terrorizzati dalla scenata finale della mamma, della gravità della situazione e la smetteranno una buona volta di fare i discoli?