Il wonder boy del basket mondiale a cuore aperto, in esclusiva per lo Statale:
“Ci vedevamo a Soverato, a Montepaone, persino a Isca talvolta.
Le partite a basket erano solo un pretesto per darcele di santa ragione. Appena uno ti stava sulle palle e penetrava, si fintava la stoppata e gli calavi un cinque lire sulla faccia ad ammutarlo. E se parlava, ti liberavi a calci.
C’era molta gente che aveva più talento di me, soprattutto tra i ragazzi che venivano dalle zone difficili di Davoli.
Si sono persi per strada, adesso hanno negozi di telefonini, bar o centri per l’impiego.
Ma la mettevano da 3 a occhi chiusi e poi ti rifilavano un cozzetto per educarti.
Sono cresciuto così, queste sono le mie radici. Quala Slovenia?!”