Una serata come tante, una rimpatriata tra fuorisede calabresi residenti a Roma e amici calabresi di passaggio in Capitale.
La scelta del locale affidata a chi ‘Roma la conosce meglio’, vivendoci da anni.
“Ma viu jeu, stasira ‘ndi scialamu!” La frase prologo della tragedia pronunciata da Filippo, trentenne reggino da un decennio di stanza a Piazza Bologna.
“Andiamo in centro, in un localino che conosco. Facciamo una sorpresina a Mico, ‘ndi facimu du risati!”
Il localino scelto è la famosa ‘Parolaccia’, ristorante caratteristico romanesco reso celebre tra l’altro dalla famosa scena di Lino Banfi alias Commissario Auricchio.
Stornelli spinti, imprecazioni in libertà e saluti di benvenuto non proprio amichevoli, come suggerisce il nome presente sull’insegna.
Una confidenza che non deve essere piaciuta per niente a Mico.
Arrivato a Roma per salutare gli amici di una vita trasferitisi per lavoro in capitale, non si aspettava certo di essere preso a botte di coglione non appena varcata la soglia del ristorante.
“E benvenuti a ‘sti frocioni…”, come nella scena ormai immortale del film.
Peccato che Domenico e gli altri ragazzi calabresi ospiti di Filippo non abbiano preso il comico siparietto proprio ‘a scherzo’.
“Bello! Chi cazzu sta ricendu? Ma ‘sta parrandu cu mia?”
Il figurante del locale credendo che il giovane stesse recitando anche lui una parte, a quel punto ha rilanciato:”Aho’, ma sei arabo? Che vieni dalle caverne? Ma chi te capisce?”
È stato allora che compare Mico non ci ha visto più e dalla…Parolaccia è passato ai fatti dando vita a una mega zuffa.
Tavoli ribaltati, sedie lanciate ad altezza d’uomo, spintoni e tentativi di testate al personale.
Tanta confusione, ma per fortuna nessun ferito. Una calma infine riportata da Filippo che mettendosi in mezzo ha urlato:”Figghioli stannu zanniandu, e chi cazzu! Nu pocu i autoironia”.
“Mi sa chi ti rincoglionisti, Pippo! L’aria i Roma ti faci mali. Imunindi prima mi rumpu tutti cosi”.
Chiarita seppur sommariamente la questione, con Filippo accusato di alto tradimento ai valori del rispetto calabrese, gli amici hanno comunque preferito abbandonare il locale e proseguire la serata in un putrido, ma tuttavia più sobrio e silenzioso, non ben specificato kebabbaro di via Casilina.
Lasciando tuttavia aperta la secolare questione tra fuorisede rammolliti e calabresazzi permalosi del loro onore.