In Calabria in queste ore non si parla d’altro.

Il prefetto (o, forse, bisognerebbe dire la prefetta? Di sicuro non la perfetta…) di Cosenza, Paola Galeone, è finita sotto indagine per un presunto scambio di mazzette avvenuto nel suo ufficio.

Una fattura fittizia per la quale si sarebbe fatta restituire dall’imprenditrice che l’ha emessa, la somma di 700 euro a nero.

Rimborsino denunciato dalla vittima dell’estorsione e filmato dagli agenti della Squadra Mobile allertati dalla donna.

Un prefetto, un rappresentante delle istituzioni, per giunta una donna, al centro di uno scandalo a tema corruzione.

In una terra tristemente nota per smazzettamenti ed estorsioni di tutti i tipi, come la Calabria, fa certamente specie che anche le Istituzioni si lascino tentante dal malaffare.

È subito giunta però la reazione della società civile che per bocca di diversi calabresi indignati ha espresso tutto il proprio disappunto e la stigmatizzazione della condotta del prefetto.

“Si è messa nei guai per 700 euro”, tuona un noto frequentatore di Piazza Mazzini.

“Potevo capire per 10.000 euro”, gli fa eco un consigliere comunale che ha voluto mantenere l’anonimato.

Si doveva far pagare di più per quel servizio!”, ribadisce un primario della locale Asp.

Insomma una condanna unanime, concentrata più sull’esiguità della cifra oggetto della mazzetta che su un senso dello Stato e una deontologia praticamente assente