“Non si tratta di una rappresaglia politica, è solo l’esecuzione di un atto amministrativo rimasto sul tavolo del Ministero per troppo tempo”.

Ci tiene subito a precisarlo Matteo Salvini prima di iniziare una delle conferenze stampa più travagliate del suo mandato. Lui, il leader leghista che ha fatto incetta di voti in Calabria e che proprio nel collegio di Reggio è stato eletto, è adesso il fautore dello smantellamento del cosiddetto ‘ghetto calabrese’ a Roma.

“Il modello Piazza Bologna finisce oggi, troppa puzza di fritto e troppi barbecue sui balconi. I ragazzi calabresi verranno trasferiti a Santa Maria del Soccorso, a Re di Roma e in altri quartieri che si sono resi disponibili all’accoglienza”.

Termina così, di colpo, un modello di comunità che ha animato in questi anni il quadrilatero di vie tra Piazzale delle Provincie, Via Livorno e la stazione Tiburtina.

Giunge al capolinea un’esperienza fatta di coinquilini calabresi che si alternano in case abitate da un numero indefinibile di persone, pacchi da giù lanciati dai pullman in stile aiuti umanitari e raduni serali fatti di t aspirate ed erre e zeta raddoppiate.

Piazza Bologna, il più grande ghetto calabrese del mondo: il luogo dove accenti della Piana di Gioia Tauro e abitudini culinarie di Soverato si amalgamavano in un mix unico e non replicabile, il tentativo di superare campanilismi così ben marcati in terra natia, ma che a Roma sfumavano in non belligeranze orgogliose e solidali.

“Andremo ad arrostire altrove, ci organizzeremo in gruppi Whatsapp, la sera torneremo qui a farci la birretta e fare la conta dei nostri anni fuoricorso”, non ha intenzione di mollare Alessio, 29enne studente originario di Siderno.

“Dall’Aurelia a Tiburtina ci metterò una vita per venire a prendere il pacco che mi mandano i miei. E poi pesa un botto, prima lo andavamo a prendere a piedi e lo portavamo a casa col mio coinquilino di Joppolo, in metro con quella bomba non ci faranno salire. Dovrò venire in macchina”, è invece sconfortato Bruno, ventenne di San Ferdinando da poco deportato in zona Baldo degli Ubaldi.

“Alcuni stanno già pensando di prendere la residenza qui per evitare il trasferimento, ma noi la residenza da giù non la sposteremo mai”, fanno eco Alessia e Maria, entrambe lavoratrici originarie di Vibo Valentia.

Già perché su una cosa, i ragazzi calabresi, sono concordi: andranno a vivere ad Acilia o a Subiaco, ma non rinnegheranno mai le loro origini.

“Chiaramente per pigrizia, e per motivi fiscali”, ammette tra i denti Alessia.

“Giù sono nello stato di famiglia con mia nonna e dichiaro reddito zero, oltre a prendere l’assegno come accompagnatore”.

Una situazione drammatica, insomma, una brutta aria da deportazione che non si respirava da molti anni nella capitale.