Arriva il rapporto Distat sullo stato del lavoro in Calabria. I dati parlano chiaro: il 50% dei calabresi inconsapevole di svolgere un’attività lavorativa
South working?
Sì, ma per farlo bene bisogna seguire la “Calabrian way“: sveglia con calma, abbondante colazione, affaccio sul mare che anche a ottobre dice la sua, caffettino al bar della piazza per criticare l’operato del governo o la gestione dello spogliatoio da parte di Pirlo, sigarettina, aggiornamento social, post geniale acchiappalike, pranzo. Siesta (perché pure un quarto d’ora ti fa sentire come nuovo), aggiornamento web, commento sulla serata di Europa League, post di analisi politico-virologica, breve scambio di idee su WhatsApp e infine si chiude. Ciao, lavoro, ciao!
Un modello vincente, da esportazione, che rende il lavoratore calabrese inconsapevole di svolgere un’attività lavorativa. Almeno così è per il 50% dei Calabrian workers, stando alle ultime stime riportate da Distat nel suo studio sullo “Stato del lavoro in Calabria”.
Credere nel paradigma calabrese per ripartire davvero, questo il mantra che avanza progressivamente in tutte le organizzazioni pubbliche e private del Belpaese. E anche dall’estero si iniziano ad accendere i riflettori. Svedesi e norvegesi studiano il “caso Calabria” e c’è chi, come Google, pensa di inviare tutti i suoi dipendenti nella punta dello Stivale per aumentare “creatività” e “adattamento al relax”.
Calabria che vince, non si cambia.