Non ci sta a fare la parte del capro espiatorio Alessandro Mahmoud, in arte Mahmood.
Non ci sta a prestarsi a strumentalizzazioni politiche di nessun genere.
“Sono italiano al 100%”, garantisce già nel Dopo-Festival, consapevole delle polemiche che sarebbero scaturite dalla sua vittoria.
Critiche sollevate dopo un minuto dalla sua proclamazione a vincitore della kermesse sanremese.
Tra accuse di esterofilia e veri e propri attacchi a sfondo razzista, Mahmood ha subito pagato per quel suo nome d’arte arabo e per una canzone che all’apparenza è un inno al materialismo.
Un padre assente, una periferia difficile, ma soprattutto una madre italiana.
“Mia madre è sarda! Sono nato in Italia e ho la cittadinanza italiana dalla nascita!” specifica ancora il giovane rapper.
Ma questo non basta a placare gli attacchi social.
A essere messi sotto accusa sono ora il metodo di voto della giuria di qualità, ora le parti del testo in arabo e i chiari riferimenti al Ramadan.
E tra chi lo attacca perché ‘straniero’ e chi lo tira per la giacchetta e vorrebbe farne un simbolo dell’integrazione, Mahmood infine rivela: “Ve lo ripeto, sono italiano come voi, ho pure un cugino a Pellaro”.
Ed è qui che, come per magia, il vespaio intorno al rapper milanese sembra calmarsi.
“Sono cresciuto tra Pellaro e Bocale, ho fatto tutte le estati fino a 18 anni al Calypso ye-ye. Mia madre ha una sorella che si è trasferita a Reggio Calabria, e i miei cugini sono tutti di lì”.
È un fiume in piena il cantante italo-egiziano:
“Ad agosto scorso sono stato al matrimonio di mio cugino a Scilla. Poi passeggiata in via Marina a Reggio per le foto e cena in una tenuta in collina. Ci siamo abbuffati come i pazzi, ma quanto mangiate ai matrimoni in Calabria?”
“Non parlatemi di ‘nduje, capicolli e frittole che altrimenti faccio peccato. Non potrei mangiare carne di maiale. Con quelle prelibatezze altro che Ramadan: mangerei dalla mattina alla sera parmigiane e pasta o furnu!”
Sorride Mahmood.
Ed è la prima volta che un sorriso autentico si apre sul volto del giovane rapper.
“Sugnu i Riggiu comu a ‘vvui, criritimi!”
E noi ti crediamo.
Qui non si tratta di semplice italianità al 100%, meglio (peggio) ancora: calabresità pura!